FEDERALISMO & INDIPENDENZA | Approfondimento Politico

Il peccato originale lombardo

Stavo leggendo con attenzione l’ultimo articolo di Maufrigneuse sulle espulsioni della Lega Salvini Premier e non posso che commentare ciò che ha detto sullo spirito di una possibile espansione al Sud del progetto leghista.

Il progetto, o forse la speranza, era quello di introdurre nella cultura del Sud il seme dell’impresa, delle attività produttive di ricchezza ma a rischio, dell’indebolimento dello Stato che sovvenziona il nulla facente, della lotta alle mafie che si sostituiscono a Stato, Regioni e agli infinti enti pubblici per efficienza e capacità di interpretare i bisogni immediati della gente piegandoli poi alle loro miserabili mire. Insomma: non frenare e ingabbiare la spirito produttivo del Nord, ma introdurlo anche a Sud: una operazione che avrebbe finalmente permesso all’Italia di ridurre il differenziale Nord/Sud non solo in termini economici ma anche in termini politici/sociali e perfino culturali, con la nuova vocazione ad autodeterminarsi: un sogno, appunto!

Poi, dice lui, Salvini ha invece interpretato l’espansione al Sud come una sorta di “meridionalizzazione” del partito, che è anche vero. Tuttavia, si ignora un’ovvietà: ogni tentativo lombardo di costruire un’Italia diversa da quella di oggi è fallito miseramente. Dall’unità stessa, dove molti lombardi non si sarebbero certamente aspettati un’estensione – contraria anche a quanto proposto dalla Commissione Giulini – del sistema piemontese al loro territorio, al tempo di Turati, in cui nel suo discorso “Rifare l’Italia” parla di tutti i problemi del Meridione e di come possano essere risolti, con cui non è stato fatto nulla.

Anche più recentemente, la Lega stessa ha avuto varie fasi in cui ha provato ad aprire al di fuori del Nord, ma non ha mai avuto successo! Volendo allargarci, potremmo considerare anche il “primo” Berlusconi come un esempio di lombardità che voleva cambiare speranzosamente tutto lo stato con principi liberali, il risultato? La FI la cui priorità (e forse unica reale proposta) è alzare le pensioni.

Banalmente, non è sostenibile questa idea per cui dal Nord può arrivare il modello che porta il Sud ad un altro livello. Non lo era l’altro ieri con Turati, non lo era ieri con Bossi, non lo è oggi con Salvini e non lo sarà domani con qualche nuovo leader. O si rimane fedeli all’idea per non contare niente o ci si apre alle solite partitocrazie all’italiana che tutti ben conosciamo per contare qualcosa.

Poi, oggi, dopo il Covid, è anche solo assurdo pensarlo: siamo nell’era del Sud, visto che la pandemia avrebbe dimostrato in qualche modo l’inefficienza del modello settentrionale e, soprattutto, dobbiamo ringraziare il Mezzogiorno se l’Europa ha mandato tanti soldini. Viviamo in un’epoca in cui un partito che si chiama “Sud Chiama Nord” è una forza politica credibile, anche per chi nei fatti rappresentava l’autonomia lombarda alle scorse elezioni, e dove una blanda autonomia, inserita dal centrosinistra in costituzione, viene considerata da mezzo paese come una minaccia esistenziale.

Andare col coeur in man a offrire una ricetta per lo sviluppo, banalmente, non funziona, perché lo status quo è più comodo. Sud e Nord, diceva bene Don Sturzo, “sono due termini irriducibili e inconciliabili”. Ed egli, correttamente, criticava anche questo nostro atteggiamento: “non siamo pupilli, non abbiamo bisogno della tutela interessata dei fratelli del nord”. Finché qualcuno al Sud non chiederà, di sua spontanea volontà, l’autogoverno e la libertà – non a spese altrui – l’unica cosa che si può fare è mettere Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli, Romagna e via discorrendo prima dell’Italia e dire, politicamente parlando, quali sono le condizioni per rimanerci, fermando il paese se non venissero accolte.

Ma nessuno lo farà. Perché, per tutti qualcosa viene prima. Non tanto l’Italia, quanto la cadrega.

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Informatico di giorno, spietato liberista che brama la secessione del Nord di notte. Con la libera circolazione, dato che amo la pizza.

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