Accolgo con piacere la novità della riforma degli ITS, per quanto trovi un po’ ridicolo il cambio di acronimo (da “Tecnico” a “Tecnologico”) e l’aggiunta di Academy, anglicismo a caso parte del classico provincialismo all’italiana, lo stesso che scrive (male) una frase in inglese ma tiene il nome di una città italiana in italiano.
Ma avere dei percorsi pratici di due o tre anni, alternativi all’università classica e che rilasciano un titolo equivalente è una manna dal cielo, per di più con la possibilità di usare la “passerella” per andare, poi, all’università classica con un tot di crediti. Ammetto che, se vi fosse stata questa scelta ai miei tempi, l’avrei considerata ampiamente.
Tra l’altro, in alcuni settori, ci sono lauree molto teoriche: non è detto, ad esempio, che un laureato in informatica sia un buon sistemista, avrà tante basi di informatica teorica (quella che in inglese chiamano CS) ma magari di pratica (quella che in inglese chiamano IT) saprà poco: nei miei studi universitari, ad esempio, di shell Linux ho visto solo alcune cose legate ai permessi e un po’ di comandi base, e in due corsi completamente distinti. Per carità, ho ampiamente compensato con lo studio alle superiori, ma immaginiamoci lo studente delle scienze applicate che va a fare informatica senza mai aver fatto sistemi e reti: in certi casi potrebbe laurearsi senza essere in grado di amministrare un server.
Certo, se la sua idea è fare un dottorato gli serve decisamente più sapere come funzionino le classi di complessità che saper come si programma un riavvio su Linux, ma se l’obiettivo è entrare subito dopo la laurea triennale nel mondo del lavoro probabilmente gli serve più sapere cosa sia una Shell.
Proprio per questa ragione mi sono lamentato a lungo dell’assenza di lauree pratiche in alcuni settori, e l’arrivo dei nuovi ITS sembra, per quanto non la soluzione definitiva, un gran passo avanti.
Tuttavia, considerando le, diciamo, strane idee che molti del governo hanno a tema istruzione tecnica, è possibile che l’esistenza di tali ITS venga vista come un via libera alla distruzione, ideologica e/o clientelare, degli ITI, o come si chiamano ora che il termine “industriale” fa paura, ITT: d’altronde, se esistono quelli superiori e sono cazzuti, perché perdere tempo a quelli inferiori invece di riempirli di filosofia, latino e robe del genere che riescono al contempo a soddisfare l’italiano orgoglione convinto di essere diretto discendente della “gloriosa Roma” e dei “filosofi della Magna Grecia” e ad attenuare una disoccupazione (o sotto-occupazione) paralizzante che colpisce determinati laureati.
Invece, a mio parere, la riforma degli ITS deve portare ad una riforma, e non in senso licealista, degli istituti tecnici normali.
D’altronde, prima, l’ITS colmava lo spazio tra diploma di maturità o professionale, livello europeo 4, e laurea di primo livello, livello europeo 6. Con questa distinzione ridotta, sarebbe opportuno che lo spazio venisse preso da un’articolazione degli ITI: non pretendo che con l’attuale percorso si ottenga una qualifica livello 5, ma si può sicuramente sperimentare. Ad esempio, perché non aggiungere un anno, magari con più laboratori, contatti col mondo del lavoro e l’ottenimento di una certificazione che vale come livello 5?
Funzionerebbe sia con le sperimentazioni quadriennali che tanto tirano in questo periodo, sia col classico percorso di cinque anni: mio nonno ha fatto la sesta elementare, magari mio figlio farà la sesta ITIS per specializzarsi, chissà…
Chiaramente, non si può prescindere da un cambiamento dei programmi e dei metodi: no, non mi riferisco a mettere più “materie che rendono uomo e cittadino”, una roba che viene ripetuta allo sfinimento ma non ha senso, ma principalmente a due cose:
- Il programma: gli istituti tecnici, con le varie scuse che ben conosciamo, sono stati depotenziati delle materie tecniche, e ciò è sbagliato: vi invito a guardare questo video dove parlo del programma delle scuole informatiche croate di lingua italiana. Sembra un altro mondo, ma è ciò che si può avere quando si vogliono avere scuole tecniche serie e non licei patacca
- I docenti: insegnare è un lavoro a tempo pieno, una volta che si lascia il mondo del lavoro ci si concentra su quello, si perdono dunque molti aggiornamenti pratici, anche se la teoria resta largamente la medesima. È importante, dunque, che il mondo del lavoro collabori con le scuole, mostrando i nuovi aggiornamenti e lo stato dell’arte usando come fondamenta la teoria appresa dai docenti.
Ebbene, a mio parere, se nell’organizzazione e la definizione delle scuole tecniche vi fossero più soggetti interessati al loro buon funzionamento che soggetti interessati al proprio elettorato, dette scuole potrebbero tornare non solo competitive e in grado di diplomare subito tecnici competenti, ma potrebbero addirittura diventare migliori di ciò che erano, dando a chi li frequenta un diploma di miglior valore.
Ma, soprattutto, meglio funzionano gli ITI, meglio funzionano i successivi anelli della catena dell’istruzione, compresi gli ITS.