Ad ogni elezione esce il tema flat tax, chi la propone promette che, grazie ad una molto criticata Curva di Laffer, abbassando le tasse aumenterà il gettito fiscale, permettendo però a tutti di pagare meno, mentre chi si oppone ci fa rivalutare la concessione alla nascita della capacità giuridica condividendo meme del genere:
Che ti chiedi dove abbiano comperato il diploma loro e i loro docenti di matematica. Spero ardentemente che non siano quelli del team “tutti dovrebbero fare un liceo, ti apre la mente“, anche se da un’indagine preliminare pare proprio sia così.
In realtà io non sono né pro né contro all’aliquota unica, esistono valide ragioni sia per la progressività fiscale (che vanno oltre “lo dicie la Costipazzione”) che per l’imposizione unica.
Sono però dell’idea che non debbano essere i politici romani a finanziare le proprie casse con queste imposte, il governo centrale – e questo lo direi anche di uno Stato padano o lombardo! – dovrebbe avere un’unica fonte di introiti: le imposte indirette. IVA, dazi, cose così.
A differenza dei flattassisti la mia proposta non promette che abbassando le tasse crescano gli introiti (cosa sicuramente possibile in alcuni casi, comunque), al contrario, l’obiettivo è proprio affamare Roma, costringendo lo Stato centrale a fare lo Stato e non a fare lo Stato, l’imprenditore, la comunità assistenziale, il datore di lavoro, l’infermiere, l’insegnante, la mamma e tutto ciò che è elettoralmente conveniente.
Con 250 miliardi circa lo Stato può fare varie cose, come ho già spiegato qui nel 2019 per gli amici di Istituto Liberale, in un articolo che vi consiglio vivamente di leggere: può finanziare l’esercito, una forza di polizia nazionale, la magistratura e le carceri, il proprio funzionamento, un voucher scuola universale, un buono welfare universale , alcune infrastrutture essenziali e un piano per ripagare il debito.
Non illudiamoci, però, la spesa pubblica non passa in un giorno dal 50% del PIL al 10%: chi spenderà al posto di Roma? Le autonomie locali.
Ma esse spendono in modo più efficiente del centro – e chi lo nega probabilmente prende uno stipendio da Roma e spera che venga aumentato – e sono in grado di risolvere i problemi in modo migliore rispetto ad un apparato burocratico centralista. Lo stesso Milton Friedman diceva che, se dev’esserci una spesa pubblica, è meglio che avvenga il più localmente possibile. Anche se si vuole arrivare allo Stato minimo, comunque, non lo si fa da un giorno all’altro.
Ma anche noi saremmo tra quelli che spendono – probabilmente meno di quanto spendeva lui – al posto dello Stato, avendo più libertà di scelta. Invece di finanziare l’elefantiaca INPS pagheremmo un fondo pensione privato, così come si può pensare di sostituire o integrare il sistema sanitario gestito dal governo con delle assicurazioni su modello Bismarck. Così come sulla scuola, degli effetti virtuosi del voucher ho parlato così spesso (qui, qui, qui, qui, qui, qui e qui) che non ha nemmeno senso che mi ripeta. E, vi stupirà, col caveat del pagamento proporzionato al reddito piace pure ad alcuni miei amici socialisti.
D’altronde, per quale motivo una spesa per gli abitanti di Bergamo, finanziata dagli operosi abitanti di Bergamo, dovrebbe passare un’approvazione a Roma, dove c’è gente che preferisce elargire bonus a pioggia per comprarsi i voti con quei soldi, o anche solo da Palazzo Lombardia, che notoriamente tende a preferire gli interessi della Lombardia occidentale rispetto a quella transabduana?
Non amo il citazionismo, ma permettetemi di (ri)citare Giovanni Adamo II del Liechtenstein, la cui opera mi ha ispirato nello sviluppare queste idee:
Lo Stato sociale prova ad emulare per vie legali il comportamento tradizionale dei piccoli gruppi. Una grande burocrazia è richiesta per gestire e controllare il processo e, al netto degli alti costi, il sistema mette in pericolo la libertà dell’individuo e in una democrazia dà la possibilità ai partiti politici di “comperare” voti con i soldi dei contribuenti.
In sostanza, l’opera pubblica più viene dall’alto più è pericolosa ma, con una buona classe politica, uno Stato non invadente, una popolazione con la giusta mentalità e un sistema che parte dal basso, oserei dire che può anche essere benefica, se esistono determinate garanzie.
Questa è la magia del federalismo: l’individuo fa il comune, il comune fa il distretto, il distretto fa il cantone, il cantone fa la federazione, ognuno cede il minimo necessario di sovranità per far funzionare tutto, nulla viene arrogato ad un ente che non è in grado di fare nel nome di una supposta idea di nazione o, ancor peggio, di uguaglianza, ed esiste una maggiore responsabilità nei confronti del cittadino, ora che non è un singolo ente a decidere tutto ciò che conta, e tutti questi enti concorrono, non sono diretti da un’entità centrale.
Gli Stati federali non son perfetti, chiaro, nessuno lo è, ma sono una minaccia alla libertà minore rispetto agli elefantiaci Stati nazionali centralisti, che mettono l’idea di nazione davanti a tutto. E molti oggi applicano il federalismo solo al primo livello, pensate a quante energie libererebbe un federalismo totale.
In ogni caso, il primo passo per una qualsiasi riforma dello Stato italiano è togliere potere a chi sino ad ora l’ha rovinato, rovinandoci: affamare la bestia, in sostanza. Una cura dimagrante per il governo centrale, così che debba limitare la propria spesa, permettendo a Regioni, Province, Comuni e Individui di spendere meglio. E se proprio vuole spendere di più non può far demagogia, alzi l’IVA, pagando le (enormi) conseguenze alle urne.
Un federalismo forzato dall’economia, essenzialmente. Non suona bene, magari, la stragrande maggioranza degli Stati federali raccoglie anche imposte dirette, ma è un modo per autolimitare l’azione del governo centrale in modo ragionevole, arrivando a vedere lo Stato come un servizio.
Ma nessun politico vi proporrà mai queste riforme. Perché? Banalmente, romperebbero il loro gioco clientelare (è la stessa ragione per cui odiano la democrazia diretta, distrugge il mantra “voti me o vince lui”). Meno soldi hanno, meno potere hanno, meno possono influire sulla vostra vita, meno possono influenzare il vostro voto. Retoricamente: a cosa serve un costosissimo reddito di cittadinanza, che ti fa fare il 30% alle urne, quando il comune può far meglio a meno e trovare lavoro a più gente di tutti i navigator messi insieme?
Questo articolo, lo ammetto, non è particolarmente interessante. Ma ha un fine specifico: fare da trampolino di lancio per chi ha capito il fallimento degli attuali Stati ma non sa come combatterlo. Infatti, ho inserito numerosi link a miei precedenti articoli sul tema, ben più corposi, che costituiscono un’ottima base per diventare anti-statalisti e, soprattutto, anti-centralisti.
Nel mentre, sapete come rispondere a chi litiga sulla flat tax: l’aliquota statale ideale? Lo 0%. Poi discuteremo su come superare il sistema pensionistico attuale e su come aiutare le autonomie meno capaci…